Oggi cammino, come tante altre persone, sull'asfalto che porta al grande capannone dell'università. piove. le gocce sono fini e sottili, non te ne accorgi nemmeno, di essere ormai zuppo. la terra è intrisa, dopo tanti giorni grigi. allagati i loro cunicoli sotterranei, eserciti di lombrichi emergono dalla terra per cercare la salvezza all'aria aperta. che errore. l'asfalto non dà loro speranze, vagano e si contorcono alla ricerca di una crepa, di un passaggio per tornare nelle loro case, cercano varchi che non ci sono e che forse non ci saranno mai. e poi le sentono, vibrazioni che forse hanno imparato a riconoscere e temere. spaventati, cercano di fuggire i piedi di quegli enormi titani che li stanno calpestando. avessero degli occhi, forse ci schiverebbero, ma sono ciechi ed inermi e così tante vite, senza neppure accorgermene, io le sto distruggendo: forse i superstiti hanno sentito lo scricchiolio morbido deo tenero corpo dei loro compagni, perchè scappano. ma quei colossi bipedi non sono l'unica minaccia dell'esterno. ingoiati nelle pozzanghere di quella pianura nera: chissà se si accorgono dell'assenza di ossigeno, chissà se sentono dolore, se hanno paura o se disperatamente cercano di tornare sopra la superficie.
splash.
un piede mi ha tolto la possibilità di capirlo.
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