Controllarsi alle spalle, sempre, e stare anche attenti a quello che può arrivare dall'alto. non sempre si può essere originali, non sempre si può essere come tutti gli altri. avvicinarsi alle fonti di calore, allontanarsi dai colori costruiti dalle luci artificiali.
ora c'è la città, là fuori, ferma, immobile ancora per poco. perché poi le case si diradano per un po'. e c'è un campo, che è del tutto coperto di neve, ancora, e solo alcune zolle di terra emergono dal manto gelido sdraiato sul suolo. sono dei punti scuri in un mare bianco, delimitato dagli scheletri degli alberi, scuri anch'essi. poi appare una casa, gialla, accanto ad un'altra casa, color salmone. passano via anche quelle. lasciano solo una debole traccia della loro esistenza, nella memoria. casa bianca - con giardino. due case, entrambe verdi, uguali e vicine. un'altra casa, sembra quasi antica, ha degli archi, dipinti di rosso spento. ormai spento. di fianco un edificio nuovo, larghe vetrate scure: una scuola, forse. passano altre case, rallentano. c'è meno neve. ci sono dei tubi, grossi tubi di cemento grigio, ed altri marrone lucido, di metallo e poco più piccoli. tutto rallenta sempre più. anche la musica si ferma. nello stesso istante. per poi riprendere, forse ancora più lentamente di quanto lo fosse prima.
"camminando, sono sceso dalla collina". ma io non riuscirei mai a scendere da un'altura del genere, non da una che mi è stata descritta in quel modo, e con quella voce. il prezzo da barattare per ottenere che io me ne vada da lì sarebbe oltremodo eccessivo. qua invece la strada che ci passa a fianco inizia a scavarsi il suo spazio nella terra. posso guardarla dall'alto. poi sparisce, sotto di noi. ritornano i campi. poi case. poi campi. poi case. case, ancora case. che cercano di nascondersi, nella foschìa invernale. in parte ci riescono, almeno quelle più distanti. scompaiono. credo di capirle.
quiet-tiz, ore 12:19